Insegnare è umano?

17 Settembre 2017
Redazione
La trasmissione di conoscenza è un comportamento solo umano?
Certamente no, ma nella nostra specie l’attività di insegnamento è particolarmente strutturata e diffusa, anche se presenta caratteristiche differenti nelle diverse culture. Naturalmente molto dipende dal significato che assegniamo alla parola insegnamento, molti studiosi ritengono che l’insegnamento come lo intendiamo comunemente nella cultura occidentale non sia sempre presente in altre culture.
Fatto sta che la trasmissione culturale che avviene nelle istituzioni formative non esaurisce pienamente il significato di insegnamento, né nella nostra né in altre società.
Michelle Ann Kline, in un suo lavoro pubblicato in Behavioral and Brain Sciences, tenta di ricostruire e categorizzare i diversi significati attribuiti all’attività di insegnamento ed è interessante lo sguardo di questa studiosa attenta a questioni antropologiche e all’evoluzione dell’idea di insegnamento come risposta a sfide   adattative poste alla specie umana e alle altre specie animali.
Cosa vuol dire insegnare?

La visione culturale

Una prima definizione dell’insegnamento è quella che l’autrice definisce culturale, tipica dell’insegnamento come è stato a lungo concepito nelle culture occidentali, spesso intesa in contrasto con il concetto di insegnamento informale al quale più usualmente fanno riferimento gli studi socioculturali o antropologici. La definizione è qui centrata su attività strutturate e/o di scolarizzazione e di insegnamento formale e collegata all’idea di favorire l’ingresso dei giovani nell’universo simbolico, in relazione al quale avviene la formazione dell’uomo.
Mead ritiene che questa modalità, tipica delle culture occidentali, abbia spostato l’attenzione dall’apprendimento all’insegnamento, dalla spontaneità alla coercizione, dalla libertà al potere. Secondo l’antropologa statunitense il concetto di insegnamento formale è orientato alla trasmissione di ciò che la comunità ritiene sia da conoscere, piuttosto che alla considerazione dell’interesse e del desiderio del singolo.
In questa interpretazione l’insegnamento formale può generare negli alunni resistenza e passività, al contrario della trasmissione culturale che potremmo chiamare naturale, semplice, informale, realizzata attraverso l’osservazione e l’apprendimento pratico, nel quale i discenti sono sempre interessati e l’apprendimento avviene senza insegnamento formalizzato

Le teorie della mente

Altra categorizzazione del significato di insegnamento si è sviluppata con gli studi sul funzionamento della mente, sicché l’attenzione non è tanto concentrata sui contenuti, quanto sui modi della trasmissione culturale. L’insegnamento è un comportamento messo in atto con l’intento di facilitare l’apprendimento negli altri e questo richiede che gli insegnanti siano in grado di identificare i bisogni e immaginare cosa sia necessario insegnare, modificando l’approccio in relazione alla difficoltà del compito e alle capacità del discente.
Sembra un gioco di parole, ma in realtà secondo questo approccio insegnare richiede di avere una serie di rappresentazioni mentali dello stato della rappresentazione mentale degli altri. L’approccio investiga i prerequisiti cognitivi per l’insegnamento e utilizza questi fattori per indagare le variazioni individuali, enumerando i meccanismi psicologici che producono conseguenze comportamentali.
Questo orientamento ha avuto una espressione rilevantissima nel concetto di sviluppo prossimale di Vygotsky.
La conoscenza delle teorie della mente può essere rilevante nel guidare l’individuazione degli obiettivi possibili e nel disegnare modalità per l’apprendimento che siano coerenti con lo sviluppo cognitivo dell’allievo.
Tuttavia, l’autrice osserva che non sempre l’efficacia dell’attività di insegnamento è dovuta alla conoscenza delle teorie della mente.
In molte società gli adulti interagiscono efficacemente con i bambini piccoli attraverso un linguaggio adeguato e gestualità, senza che con ciò si possa affermare che tutti gli adulti abbiano conoscenza degli stadi di sviluppo cognitivo o siano consapevolmente guidati da una teoria della mente. È possibile che la reazione emotiva degli adulti davanti agli infanti e il desiderio di interagire con loro direttamente, indirizzi il comportamento adattativo nei confronti dei piccoli.
Secondo altre letture, per un insegnamento efficace è rilevante la rappresentazione mentale che l’insegnante ha della propria conoscenza, la capacità di analizzarla e di fornire selettivamente le informazioni che sono essenziali per l’apprendimento, di adeguare l’insegnamento alle risposte fornite dai discenti, senza per questo utilizzare teorie circa lo sviluppo cognitivo degli alunni.

Il funzionalismo

La terza famiglia di definizioni fa riferimento al funzionalismo. In questo caso la definizione di insegnamento è fondata sui risultati osservabili più che sulla motivazione dei docenti ad insegnare. Vi è quindi una minore attenzione ai meccanismi mentali, l’insegnamento ha valore principalmente adattivo e può essere ricondotto prevalentemente ad un meccanismo evolutivo. In questo approccio ci si concentra sui costi e benefici dell’attività di insegnamento per meglio comprenderne le origini evolutive e le conseguenze adattative.

In tal senso la conoscenza è uno strumento di adattamento sia verso il sé che alle richieste della comunità umana e nel fronteggiare i cambiamenti.

Ogni categorizzazione enfatizza alcuni aspetti della definizione dell’attività di insegnamento, facilmente rintracciabili nella loro prevalenza in alcuni periodi storici o in alcune culture più che in altre. L’approccio ha valore descrittivo e consente una migliore comprensione del fenomeno, nel tentativo di isolare e studiare caratteristiche salienti delle diverse sfaccettature dell’insegnamento.
Quali forme di insegnamento nelle diverse culture?
L’autrice identifica modalità diverse di trasmissione culturale e gradienti differenti di formalizzazione, in relazione a esigenze adattative che possono esprimersi attraverso:
– la tolleranza dell’intervento dei giovani inesperti, nelle attività svolte dagli anziani, anche se questi interventi possono ritardare l’esecuzione del compito (ad esempio quando un bambino aiuta a preparare una pietanza o ad eseguire un lavoro intervenendo in quello che un adulto sta facendo). Questa modalità è particolarmente importante nella prima infanzia e i bambini sono guidati da una motivazione propria ad acquisire il saper fare dell’altro. Il loro intervento, per quanto possa ritardare l’esecuzione del compito nel quale è impegnato l’adulto, è generalmente tollerato anche in culture molto diverse;
– la creazione di opportunità di apprendimento, anche mediante la semplificazione dei compiti o la previsione di aiuto nel realizzarli. In alcuni casi questa forma di insegnamento si realizza attraverso la narrazione in cui gli adulti creano situazioni drammatiche o dilemmi sociali, che possono aiutare nello sviluppo della regolazione emozionale e nell’apprendimento di condotte sociali;
– il richiamo dell’attenzione e dell’interesse dei bambini, anche attraverso un linguaggio adatto alla loro capacità di comprensione o indicazioni e richiami all’osservazione di elementi o fatti ritenuti rilevanti. Gli adulti indicano situazioni o toccano oggetti, talvolta usando espressioni stereotipate. Spesso questi comportamenti persistono sino a quando il bambino non presta attenzione allo stimolo. Le modalità per richiamare l’attenzione variano nelle diverse culture;
– l’uso di feedback sia positivi che negativi, con rinforzi volti a condizionare il comportamento. Questa via è particolarmente importante ove apprendere attraverso l’esperienza diretta potrebbe comportare un pericolo o comunque costi alti per il bambino ed hanno il valore di incoraggiare o scoraggiare un largo ventaglio di comportamenti. È un tratto comune nelle diverse culture il rimprovero verbale, teso a procurare vergogna. Si tratta di una attività che ha costi meno rilevanti per i docenti ma comporta dei rischi per i discenti e può generare resistenze che tuttavia sono inversamente proporzionali alla percezione dell’autorevolezza del docente ed alla stima che l’allievo prova nei suoi confronti;
-l’insegnamento diretto, consistente nell’indicare informazioni rilevanti e condurre all’interpretazione in termini di quadri di conoscenza. L’insegnamento diretto può anche essere non verbale. È affidato a istituzioni formali o semi formali ed è la via fondamentale per la comunicazione di conoscenze astratte, anche totalmente indipendenti dall’osservazione nella realtà fattuale.
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