La quarta rivoluzione

22 Gennaio 2016
Redazione
Il World Economic Forum ha pubblicato il report Future of Jobs in occasione dell’annuale meeting che si tiene a Davos e che quest’anno ha come oggetto la quarta rivoluzione industriale.
Se qualcuno di noi ancora coltiva una visione ottimistica circa l’impatto dello sviluppo tecnologico sui lavoratori, le considerazioni emergenti dal Rapporto spazzano via ogni certezza e suscitano anzi preoccupazione. Stiamo vivendo quella che è definita la Quarta rivoluzione industriale e, come in tutte le rivoluzioni, non mancheranno vittime. Rispetto alle precedenti Rivoluzioni industriali, questa si presenta con specifici caratteri di rapidità e gli effetti sono anche amplificati dall’interrelazione con altri fattori socio economici, dall’andamento demografico e dagli sviluppi geopolitici che si combinano pericolosamente con lo sviluppo tecnologico.
Se qualcuno  di noi poteva pensare che comunque gli effetti dei cambiamenti in atto saranno di là da venire e che ci sarà tempo per affrontare ogni difficoltà, deve dolorosamente ricredersi. Il Rapporto evidenzia che in appena cinque anni – ripetiamo appena cinque anni – vi sarà una perdita di 5.1 milioni di posti di lavoro. Infatti le maggiori possibilità di impiego prodotte dalla rivoluzione tecnologica non potranno compensare le perdite, soprattutto nei lavori di routine, in particolare per i cosiddetti colletti bianchi.
Infine se qualcuno  di noi poteva immaginare che la tempesta perfetta che investirà il mercato del lavoro potrà essere un’occasione per le industrie per reclutare personale a basso costo,  approfittando dell’eccesso di offerta sul mercato, rimarrà anche qui smentito dalle conclusioni del Rapporto. Infatti le industrie non reperiranno facilmente le competenze che sono necessarie e quando queste  saranno presenti si svilupperà una forte competizione tra le aziende per acquisirle. Ma anche chi già ha un impiego non può guardare con serenità al proprio futuro perché gli verrà richiesto un adeguamento continuo delle proprie competenze. In media nel 2020 più di un terzo delle competenze attualmente ritenute centrali per l’impiego saranno sostituite da skills che oggi ancora non hanno  particolare rilevanza  nel mercato del lavoro.
Si stima  che il 65% dei bambini che entrano oggi nella scuola primaria, saranno impiegati in lavori che attualmente neppure esistono. Ci si chiede allora come potrà essere affrontata adeguatamente  questa catastrofica previsione che annuncia disuguaglianze crescenti, povertà, mancanza di lavoro per larghe fasce della popolazione ed inevitabili conflitti. Il Rapporto offre alcune soluzioni, suggerendo un radicale cambio di passo nell’approccio alla formazione delle nuove generazioni e un diverso ruolo anche delle aziende che devono avere attenzione agli esiti sociali delle loro azioni. Il centro della strategia che il Rapporto propone è  nella riconsiderazione dei modelli educativi e formativi, non solo nella istruzione formale ma anche nella formazione continua, nell’uso attento dei dati e degli strumenti di programmazione e in una visione di rete che consenta di attivare soluzioni complesse per affrontare le sfide che ci attendono e che sembrano dare corpo ai più spaventosi scenari che la fantascienza ha in passato prodotto.
La sensazione che si ricava è che siano stati innescati processi dei quali si sta perdendo il controllo e il cui governo richiede azioni su larga scala e cooperazione tra gli Stati. L’impressione è dunque che non solo non controlliamo più gli effetti che induciamo a livello globale sul nostro ambiente e sugli ecosistemi ma che stiamo anche progressivamente minando i nostri sistemi sociali e travolgendo quelle idee di uguaglianza, rispetto della persona, senso dell’umanità che sono tratti essenziali ai quali è legata la nostra identità culturale e personale. Come qualcuno ha osservato, non potremo salvarci senza recuperare il senso della misura e della bellezza, senza riflessione culturale.

 

 

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