Disabilità a scuola, in Italia e nel resto d’Europa

14 Gennaio 2015
Admin
Approfondimenti –
In molte nazioni è vivo il dibattito sull’inclusione degli allievi con disabilità; ci si interroga se chiudere le scuole speciali, se ridurre la separatezza dei percorsi formativi, mentre si moltiplicano gli interventi internazionali sul tema. In questa crescente ondata di consapevolezza l’Italia è certamente un Paese all’avanguardia, una nazione a cui guardare. Tuttavia i dati recentemente messi a disposizione dall’Istat sollecitano alcune riflessioni ed indicano vie che sono ancora da percorrere.
Dagli anni ’70 la cultura inclusiva ha caratterizzato il sistema scolastico del nostro Paese, con una regolazione normativa di forte impatto, anche se alcuni hanno ritenuto che la chiusura delle scuole speciali in Italia abbia avuto caratteristiche ideologiche più che scientifiche. E’ vero che, ancora oggi, non vi sono decisive evidenze scientifiche circa le differenze tra i risultati ottenuti dagli alunni con disabilità frequentanti scuole speciali oppure inseriti in scuole “comuni”, anche se vengono rilevati, in alcune ricerche, vantaggi nell’integrazione sociale.  Gli studi sono tuttora condotti su scala ridotta e si avverte la necessità di una migliore integrazione tra dati qualitativi e quantitativi. Ma la scelta italiana sull’inclusione ha tratto alimento soprattutto da considerazioni etiche, in un importante movimento di coscienza che non poteva accettare l’equazione tra differenza e separazione.
A distanza di più di quarant’anni da questo grande movimento d’opinione, e nonostante l’orgoglio delle scelte fatte, dobbiamo comunque osservare con realismo che nel rapporto tra scuola e disabilità non mancano ancora oggi aree di difficoltà, punti critici ed urgenze che sollecitano incessantemente una grande cura. Può essere allora interessante guardare con attenzione e curiosità alle soluzioni adottate nella comunità internazionale, cercando di rilevare le tendenze in atto.
Non è però sempre facile ridurre ad unità le diverse declinazioni nazionali del tema dell’inclusione ed individuare tendenze internazionali.  
Nel ricostruire il panorama internazionale spesso l’esame dei dati statistici può trarre in inganno. Le rilevazioni relative alle percentuali degli alunni con bisogni educativi speciali possono oscillare anche in modo rilevante, dall’1,5% della Svezia al 24% dell’Islanda (dati 2010) e questo per una serie di motivi legati sia a fattori contestuali che di categorizzazione del fenomeno.
Incrementi statistici sono talvolta stati osservati se il riconoscimento della disabilità consente l’accesso a provvidenze economiche o ad altre agevolazioni; risultati percentuali in direzione opposta si hanno se il medesimo riconoscimento avvia ad un inserimento in percorsi speciali ed in scuole differenziate.
Per ricostruire un filo rosso nelle tendenze internazionali circa il rapporto tra disabilità e scuola non possiamo neppure fare affidamento sulla condivisione delle definizioni e delle terminologie.
Nei diversi contesti, possono essere descritte come inclusive pratiche educative speciali condotte in setting separati, oppure rivolte ad alunni con un comune background estremamente disagiato, per i quali si creano gruppi omogenei inseriti in scuole “normali”.
Vi sono inoltre differenze nelle diverse nazioni circa le categorizzazioni del temine disabilità e dei bisogni educativi speciali; questi possono comprendere disabilità, difficoltà di apprendimento e di comportamento, ma anche includere dimensioni relative alla situazione sociale degli alunni, come l’essere affidati ai servizi sociali o vivere la condizione di nomadismo. In generale comunque la tendenza internazionale è orientata ad un progressivo spostamento da una categorizzazione diagnostica fondata su definizioni cliniche ad una lettura focalizzata sul rapporto tra individuo e fattori contestuali. L’approccio fondato sull’ICF (International Classification of Functioning), promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (2001), consente di descrivere l’inclusione come intervento sulle condizioni ambientali nelle quali è possibile lo svolgimento della prestazione.
Si devono inoltre ancora registrare profonde fratture circa il significato culturale che le diverse società attribuiscono al riconoscimento di una disabilità, anche perché ogni sistema di categorizzazione richiama il rapporto con la normalità: come ha detto Pontiggia[1], non è importante negare le differenze ma cambiare l’immagine della norma.
In Europa la transizione dalle scuole speciali a quelle comuni è particolarmente lento in Germania, in Olanda, in Belgio. Secondo dati relativi all’a.s. 2010/2011, in Germania gli allievi con disabilità erano circa mezzo milione; di questi solo il 22,3 per cento frequentava classi “comuni”[2].
Nel medesimo periodo in Finlandia su 45.439 alunni con bisogni educativi speciali, 13.555 erano completamente integrati nelle classi comuni[3].
Le aree di maggior criticità sono concentrate sulla ricerca di un equilibrio tra didattica speciale ed inserimento nella realtà delle scuole normali, nell’interrogarsi sui limiti all’inclusione di alunni con disabilità particolarmente gravi e sull’adattamento del disegno curricolare e di una valutazione che sia inclusiva. In generale si sottolinea la necessità di avvalersi di personale di supporto e di intervenire sulla formazione dei docenti, a partire da quella iniziale. Non sono inoltre infrequenti situazioni di conflitto. Talvolta le reazioni sono ostili all’inserimento di alunni con disabilità, come è avvenuto ad esempio in Germania, nel Nord Reno-Westfalia ove si sono verificate anche violente proteste di genitori e insegnanti. In altri casi invece il contenzioso legale è il modo attraverso il quale le famiglie cercano di far valere le loro richieste. Questo approccio è particolarmente presente negli Usa e diversamente diffuso in Europa: ad esempio in Olanda si registrano un centinaio di casi all’anno a fronte dei più di tremila in Inghilterra (dati 2011)[4].
E in Italia?
Il quadro normativo e regolamentare del nostro Paese in tema di inclusione è certamente molto avanzato. Tuttavia non mancano aspetti irrisolti e questioni anche di grande rilievo. Se in astratto è oramai condiviso il principio dell’inclusione vi sono però situazioni in cui si accendono conflitti o si determinano situazioni che coinvolgono profondamente genitori e insegnanti. In alcuni casi le disabilità sono severe e richiedono adattamenti dell’ambiente scolastico ampi e non sempre facili da ottenere. Esiste inoltre una difformità territoriale in tema di inclusione, piuttosto marcata. Il punto sulla situazione e su quelli che ancora sono i punti dolenti del nostro sistema, può essere fatto anche partendo dai dati che l’Istat ha messo a disposizione il mese scorso circa l’integrazione degli alunni con disabilità nelle scuole primarie e secondarie di primo grado.

 

Uno sguardo ai dati

Nell’anno scolastico 2013/2014 gli alunni con disabilità nella primaria erano quasi 85.000  e più di 65.000 nella scuola secondaria di primo grado, con un aumento rispetto al precedente anno scolastico di ca. mille unità in entrambi gli ordini.
Tra le problematiche più diffuse troviamo quelle legate al ritardo mentale (rispettivamente il 41,8 % e il 48,3% della popolazione con disabilità nella scuola primaria e nella scuola secondaria di I grado). Nella scuola primaria hanno grande incidenza i disturbi del linguaggio, dello sviluppo e affettivo relazionali. Nella scuola secondaria  di primo grado invece, dopo i disturbi mentali, assumono particolare rilevanza i disturbi dell’apprendimento, quelli affettivo relazionali e del linguaggio.
Nella scuola primaria il 20,8% degli alunni con disabilità  non è autonomo in almeno una delle attività indagate (autonomia nel mangiare, nello spostamento e nell’uso dei servizi igienici). Purtroppo, nonostante la presenza di personale AEC (il numero medio di ore settimanali garantite da un assistente educativo culturale è di 10 ore nella scuola primaria e di 9,5 nella scuola secondaria di primo grado), se l’alunno presenta problemi di autonomia (nello spostarsi, nel mangiare e nell’andare in bagno) diminuisce drasticamente il numero di ore di didattica passate in classe, segno questo di una maggiore difficoltà di inclusione per gli alunni con problemi di autonomia.
Le difficoltà di ordine strutturale emergono con forza se si considera che ancora non appare risolto il problema delle barriere architettoniche. Nel Mezzogiorno si registra la percentuale più bassa di scuole con scale e servizi igienici a norma. La presenza di segnali visivi, acustici e tattili per favorire la mobilità all’interno della scuola non è particolarmente diffusa. Nella primaria i segnali percettivi sono presenti solo nel 27,8 % delle scuole  del Nord e nel 18,5% delle scuole del Mezzogiorno.
In media è in servizio un insegnante di sostegno ogni due alunni con disabilità, ma con differenze territoriali marcate. Il rapporto più basso si riscontra in Val d’Aosta per la scuola primaria (1,2 alunni per docente) e in Molise nella scuola secondaria di primo grado. E’ significativo che più del 10% delle famiglie degli alunni disabili di scuola primaria e il 7% della secondaria di primo grado hanno presentato ricorso  per ottenere l’aumento delle ore di sostegno.
Anche la continuità del docente di sostegno non appare garantita: il 44,1% degli alunni di scuola primaria e il 39,8% della secondaria di primo grado hanno perso il docente di sostegno che li aveva seguiti durante l’anno scolastico precedente.

Rimane dunque la convinzione che l’impianto normativo, pur illuminato, non sia sufficiente a garantire le migliori condizioni per l’inclusione, pur costituendone una ineludibile premessa.
E’ importante che si crei una vera e propria alleanza educativa che coinvolga tutti i soggetti interessati, dalla famiglia agli Enti locali. L’inclusione necessita di comportamenti strategici e di coordinamento delle risorse disponibili, di una buona organizzazione scolastica e di azioni di formazione del personale. La chiave però è nella condivisione, nella comprensione reciproca, nell’attenzione alla costruzione di un clima relazionale positivo che consenta di affrontare con fiducia le inevitabili difficoltà.

 

[1] Giuseppe Pontiggia, Nati due volte, Arnoldo Mondadori Editore, 2010

[2] Lena Greiner,  Integration behinderter Kinder: “Alle sind überfordert”, Der Spiegel on line,  11/01/2013  

[3] European Agency for special Needs and Inclusive Education – Country information – Sne data -Finland

[4] Nesse network, Education and disability/special needs policies and practices in education,2012,  www.nesse.fr

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