Costruire cooperazione

30 September 2015
Admin
Molte ricerche hanno indagato le radici dell’altruismo, fenomeno per il quale uno degli attori agisce causando un danno a sé, a beneficio di un altro. E’ particolarmente sorprendente che questo tipo di comportamento sia stato registrato anche nel mondo animale, contesto all’interno del quale il fenomeno più difficilmente può essere ricondotto a considerazioni di ordine morale, filosofico o psicologico.
Un aspetto complementare e meno indagato dalla ricerca è quello del mutualismo, per il quale entrambi gli attori cooperano per ottenere un beneficio. Lo studio di questo aspetto delle relazioni umane pone il problema di quali siano le condizioni per le quali una tale azione di collaborazione possa essere intrapresa. La ricerca ha indagato quali presupposti cognitivi siano necessari, centrando l’attenzione non tanto su aspetti motivazionali quanto epistemologici e cioè sulla possibilità di rappresentare accuratamente lo stato di conoscenza e di consapevolezza degli altri rispetto alla possibilità di cooperare e quindi di poter coordinare l’azione. I ricercatori si sono chiesti cosa devono conoscere i partner circa le reciproche convinzioni per coordinare i comportamenti.
Una ricerca pubblicata in Journal of Personality and Social Psychology, e della quale dà notizia lHarvard Gazette, dimostra che il coordinamento mutualistico delle azioni, in funzione di un reciproco vantaggio, è facilitato dalla condivisione di una comune consapevolezza. Infatti i potenziali partecipanti all’azione decidono di cooperare con altri per ottenere reciproci vantaggi, solo se i loro partner fanno la stessa scelta. La ricerca si concentra su una particolare forma di conoscenza, chiamata common knowledge, rappresentabile in una serie per cui Caio sa X, Tizio sa X, Caio sa che Tizio sa X, Tizio sa che Caio sa X, Caio sa che Tizio sa che Caio sa X, all’infinito. Perché si creino i presupposti ad azioni di cooperazione mutualistica non è necessario che il soggetto rappresenti a sé tutti i livelli di conoscenza, ma è sufficiente che abbia consapevolezza della formula ricorsiva: tutti sanno X. Questo avviene ad esempio mediante la diffusione pubblica di una notizia, per cui chiunque la riceva sa che anche gli altri l’hanno ricevuta e può dedurre che tutti sono consapevoli che gli altri sanno, all’infinito. La conoscenza che viene condivisa non necessariamente deve essere riconosciuta come assolutamente certa ma è sufficiente che gli attori le riconoscano un grado di probabilità, una credenza comune.
Dunque per promuovere azioni di cooperazione mutualistica non solo è necessario che gli attori conoscano i vantaggi della collaborazione ma è necessario anche che siano consapevoli che anche gli altri condividono la medesima conoscenza. E quando questo avviene mediante mezzi di diffusione collettivi allora si raggiunge uno stato di consapevolezza che include tutti i livelli prima descritti e che costituisce una condizione favorevole per il realizzarsi di comportamenti mutualistici.
In sostanza viene richiamato il tema che già era stato approfondito dagli studiosi della Teoria della Mente, cioè la capacità di attribuire a sé e agli altri intenzioni, credenze, desideri e prevedere i comportamenti in base di queste inferenze. Sebbene già a partire dai sei mesi i bambini riescano a distinguere i mezzi e gli scopi in un’azione di altri, l’abilità nel rappresentare lo stato di coscienza dell’altro si sviluppa progressivamente e si manifesta già a partire dai quattro anni di vita.Secondo alcuni autori, è una capacità innata ed emerge mediante un processo progressivo di maturazione.
Non sempre le persone però riescono a rappresentano in modo efficace lo stato mentale degli altri e non sempre si riesce ad ottenere una meta rappresentazione. La teoria sulla common knowledge indaga i livelli diversi di consapevolezza e l’effetto sulla decisione di adottare comportamenti mutualistici.
Nel lavoro The psychology of coordination and common knowledge, Thomas KA, DeScioli P, Haque OS, Pinker S., dimostrano che gli attori decidono di cooperare con frequenza diversa se:
– al partecipante sono state fornite informazioni ma non ha notizie rispetto a ciò che l’altro sa
– al partecipante è detto che anche l’altro ha le medesime informazioni
– il partecipante sa che l’altro sa che il partecipante sa
– l’informazione è presentata in forma pubblica, attraverso la diffusione con altoparlante.
In questo ultimo caso la cooperazione mutualistica è stata significativamente più alta. Questo dimostra che i partecipanti agli esperimenti condotti dagli autori, hanno inteso come qualitativamente differente il quarto stato di condivisione della conoscenza. La common knowledge è una categoria cognitiva distinta dalle altre forme di condivisione della conoscenza ed è fondamentale perché gli attori riescano a coordinarsi intorno all’azione da condurre.  Possono infatti avvalersi di ragionevoli previsioni rispetto al comportamento degli altri e diminuire il fattore di rischio. Sanno infatti che gli altri condividono le stesse informazioni e questi a loro volta sanno che le informazioni sono condivise dall’interlocutore. L’importanza della common knowledge ove non solo la conoscenza è condivisa ma si ha la metaconsapevolezza di questa condivisione, si può osservare anche quando si utilizzano espressioni eufemistiche o il discorso implicito, situazioni in cui tutti comprendono il testo sottostante, anche se non è apertamente espresso.
E’ evidente come questi risultati abbiano un grande rilievo nella definizione delle strategie che possono costruire le migliori condizioni per coordinare l’impegno di più attori, orientati ad un reciproco vantaggio. Perché non tenerne conto, ad esempio, nella gestione di una classe o di un collegio dei docenti? …

No comments

Lascia un commento:

Your email address will not be published.